Il processo di Recruiting: la differenza tra trovare e assumere

    Attrarre i talenti è una priorità per ogni azienda che voglia crescere ed essere competitiva nel proprio settore.

    Ma scegliere il personale è un compito tutt’altro che banale: non si tratta solo di valutare qualche curriculum, ma è un processo composto da una serie di step che partono dal trovare candidati qualificati e arrivano ad aspetti molto delicati come: comprendere se questi candidati corrispondono ai parametri della cultura dell’azienda, se si integrano bene con il team e il management, se il collaboratore sarà leale e sposerà i valori aziendali.

    È interessante sottolineare il contributo che l'intelligenza artificiale per l'HR  ha dato negli ultimi anni nella gestione di grandi masse di dati eterogenee nella selezione dei candidati, e più in generale le tematiche di frontiera della People Analytics.

    Per fare tutto ciò chiaramente l'investimento in termini di tempo e di risorse può essere considerevole, ma è facile comprendere che accrescere il capitale umano dell'azienda è un'attività altamente strategica.

    Vediamo nel dettaglio come si svolge il lavoro di un recruiter, interno o esterno all'azienda.


    1. Fasi della selezione del personale
    2. Le competenze dell’HR
    3. Recruiting in outsourcing
    4. Recruiting collaborativo
    5. Recruiting digitale
    6. Strategie per attrarre talenti
    7. L’onboarding in azienda 

     

    1. Fasi della selezione del personale

    Il processo di ricerca e selezione è composto da differenti fasi, tutte parimenti essenziali per la buona riuscita del recruitment.

    La differenza tra trovare dei candidati e assumerli consiste nel non limitarsi a selezionare dei cv in linea ma esplorare a fondo le esigenze dell'azienda e non fermarsi fino a che non si trova il candidato che da un lato è perfetto per l'azienda, sia per competenze che per valori,  e dall'altro è altamente motivato al cambio. 

    Il processo di recruiting può variare molto a seconda della situazione (la principale differenza consiste nell'incaricare o meno un fornitore esterno di recruitment), ma i principali macro-step sono quattro:

     

    1. Pianificazione: in questa prima fase strategica quanto spesso sottovalutata si studiano le esigenze dell’area in cui si inserirà il nuovo collega per definire nel dettaglio la posizione e le competenze richieste ai candidati. Bisogna identificare i requisiti necessari e valutare quali hard skill, esperienza e anche soft skill sono essenziali per trovare una risorsa in linea con le necessità e i valori aziendali. Si è vincenti in questa fase se si va oltre l'ovvio e ci si spinge ad esplorare le motivazioni e i bisogni più profondi e spesso non detti.
       
    2. Ricerca: a questo punto si avvia il processo di ricerca. È compito del recruiter, interno o esterno all'azienda, redigere una job description che sia chiara, completa e accattivante: deve contenere i requisiti desiderati ma anche l’offerta dell’azienda, che sia economica, quando si decide di palesarla, o in termini di benefit, vita in azienda, formazione, rapporto con i manager, tecnologie utilizzate, percorso di carriera eccetera. Grazie alla fase di pianificazione il recruiter sa quali aspetti sono da evidenziare per far sì che la job description risulti irresistibile per i candidati giusti, non per tutti. La diffusione può avvenire poi tramite ricerca mirata, spesso chiamata "caccia", o tramite la pubblicazione di annunci su portali specializzati, tramite database privati e network, tramite il sito web dell’azienda e i social network oppure tramite eventi dedicati.
       
    3. Screening e colloqui: una volta raccolti, è necessario fare lo screening dei cv ricevuti, manualmente o grazie ai molti sistemi oggi disponibili. La qualità dei cv dipende sia dalla correttezza dei canali su cui la si è divulgata sia dalla precisione della job description: più precisione implica che ci sarà meno bisogno di scartare profili non idonei. Si seleziona, dunque, una shortlist e si passa alla seconda fase del processo, in cui vengono organizzati i colloqui conoscitivi -fisici, telefonici o in video call-, con la rosa di candidati identificati come migliori. Dopo la prima tranche di colloqui vengono organizzate le successive interviste, il cui numero varia in base all'azienda e al ruolo in questione. Nei colloqui vengono coinvolti via via altri colleghi oltre al recruiter e all'HR Manager: dai team leader ai manager di linea fino a dirigenti, CEO o proprietà. In realtà il coinvolgimento dei line manager è di vitale importanza per il successo della selezione sin dall'inizio del processo. Il recruiter e l'HR Manager devono saper ingaggiare i colleghi perchè comprendano che la selezione non è un compito solo dell'HR ma abbiano chiaro il proprio importante ruolo di collaborazione senza viverlo come una perdita di tempo.
       
    4. Selezione e offerta: l'ultimo step consiste nell'individuare il candidato migliore e sottoporgli la propria offerta. Ogni HR Manager conosce bene la frustrazione di vedere rifiutata la propria offerta da un candidato in cui crede, quindi questa fase è particolarmente delicata, e può prevedere il supporto del fornitore di recruiting nella negoziazione economica e contrattuale.

     

    2. Le competenze dell'HR

    Abbiamo quindi visto quali sono i compiti di un recruiter, ma quali sono le competenze che deve possedere per essere un buon recruitment specialist?

    Ovviamente, come in qualsiasi ambito delle Risorse Umane, sono essenziali l’empatia, la capacità d’ascolto e l’apertura verso il prossimo, ma vediamo quali ulteriori skill fanno la differenza.

    • Un buon recruiter dovrebbe avere predisposizione per la comunicazione, per poter collaborare con marketing e vendite: oltre a saper scrivere annunci accattivanti, un buon recruiter deve riuscire a trasmettere i valori aziendali al candidato e saper “vendere” sia la posizione che l’azienda.
    • Una delle competenze più richieste per un recruiter è la capacità di mediazione: un insieme di proplem-solving, diplomazia e capacità di negoziazione per gestire i rapporti tra azienda, line manager, candidati.
    • Immancabili poi le capacità analitiche: la digitalizzazione dei processi porta alla raccolta di un'enorme quantità di dati. Per nessuna area aziendale è semplice tracciare e interpretare queste informazioni, ma l'attività è strategica e quindi merita tutta l'attenzione necessaria. Per gli aspetti tecnici ci si avvale ovviamente del supporto degli informatici, ma la lettura del dato è una competenza del buon recruiter, che capirà come indirizzare al meglio la sua ricerca di candidati. Tutto il reparto HR, non solo il recruiting, trae enorme giovamento dagli HR Analytics per le attività più strategiche.
    • Infine ogni recruiter oggi dovrebbe avere anche una propensione alla digitalizzazione: il reparto HR ormai è al centro del cambiamento del mondo del lavoro, e assume un ruolo di primo piano nell'indirizzare il management verso l'innovazione costante, che si raggiunge anche attraverso l'acquisizione di nuovi talenti specializzati. 

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    3. Recruiting in outsourcing

    Quando si parla di recruiting in outsourcing si può parlare di RPO (Recruitment Process in  Outsourcing) o di singolo mandato di ricerca e selezione affidato ad una società di recruiting. In questo secondo caso l'ownership del progetto rimane all'azienda committente, che si avvale del supporto del fornitore esterno per una ricerca specifica.

    Si parla di RPO quando invece la società esterna fornisce un servizio composto dal tempo delle sue persone, dalle tecnologie, le modalità di lavoro e tutto un insieme di servizi al fine di raggiungere un obiettivo concordato. Si può ricorrere anche ad un RPO a tempo, acquistando un tot di ore lavoro del recruiter, ma è molto più utile e diffuso l'RPO a progetto, anche noto come On demand RPO.

    Negli ultimi tempi si è diffuso anche il remote RPO: in questo caso il rapporto viene gestito da remoto, senza la presenta fisica del recruiter presso l'azienda cliente. Con la digitalizzazione dei sistemi infatti non c’è più bisogno della presenza fisica quotidiana: il recruiter, pur rimanendo nella sua sede d’origine, può fornire all’azienda tutto il supporto e tutte le informazioni necessarie relative al suo mandato.

    Ci sono diversi motivi per cui le aziende scelgono di rivolgersi ad un esterno per il processo di recruiting, che sia in modalità RPO o con un semplice mandato:

    • Difficoltà della ricerca: quando ci si mette alla ricerca dell’unicorno, cioè quel profilo quasi impossibile da trovare è spesso consigliabile affidarsi ad una società specializzata in recruiting, che possiede network e tecnologie all'avanguardia.
    • Overwork: se il reparto HR dell’azienda è oberato di lavoro e non riesce a dedicare abbastanza tempo alla ricerca del personale, ingaggiare un'azienda esterna è la soluzione ideale.
    • Urgenza: se una posizione si è scoperta all’improvviso e si ha bisogno di sostituirla il prima possibile, un recruiter esterno, grazie alle skill e agli strumenti a sua disposizione, può effettuare la ricerca in modo rapido e preciso riducendo notevolmente il time-to-hire.

    Ulteriori approfondimenti:

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    4. Recruiting Collaborativo®

    Il Recruiting Collaborativo® è la specialità di Reverse: siamo la prima società che ha introdotto il modello di business collaborativo nel settore delle Risorse Umane.

    Ecco le parole del nostro CEO Daniele Bacchi:

     

     

    Per spiegare come funziona il business collaborativo basta prendere come esempio Wikipedia: la piattaforma è operativa grazie al contributo di esperti che arricchiscono l’enciclopedia online ognuno con le proprie competenze specifiche. Non esiste un super-esperto in grado di approfondire ogni area dello scibile umano. 

    Allo stesso modo, nel recruiting collaborativo ogni attore coinvolto porta la propria competenza perché il progetto nell’insieme sia d’eccellenza. Il ruolo principale che caratterizza il recruiting collaborativo è quello dello Scout, un professionista esterno a Reverse che collabora con noi durante tutto il processo per dare reale specializzazione al servizio:

     

     

    Nel recruiting collaborativo anche il cliente è protagonista: i risultati eccezionali arrivano quando il cliente è collaborativo nelle fasi chiave del processo.

    Alla base di questo modello vi sono gli strumenti digitali avanzati di cui ci avvaliamo, che alleggeriscono l'effort del cliente e gli consentono di essere costantemente aggiornato passo dopo passo dei progressi della selezione, ottenendo quindi velocità e totale trasparenza.

    La collaborazione tra Head Hunter e cliente ha dei benefici incontestabili: con una comunicazione diretta e update frequenti, è più facile identificare subito ciò che l’azienda sta cercando, con un risparmio in termine di tempi, e dunque anche di costi.

     

    Approfondisci il nostro modo di fare Headhunting:

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    5. Recruiting digitale

    Al giorno d’oggi il recruiting non può non essere digitale.

    Il mondo delle Risorse Umane è uno di quelli che ha tentato di opporsi con più ostinazione alla digitalizzazione dei processi: la componente umana in questo mondo è considerata, giustamente, essenziale e il maggior timore è che un ambiente più digitalizzato raffreddi i rapporti, creando più distanza tra candidato e recruiter.

    Ma oggi l’introduzione delle tecnologie, tra cui l’Intelligenza Artificiale, punta all’obiettivo opposto: avvicinare i recruiter non solo ai candidati, ma anche ai clienti. La tecnologia non si vuole sostituire al contatto umano, ma vuole anzi esaltarlo, andando a semplificare una serie di processi di routine che rubano tempo prezioso e riservare tempo per la relazione.

    L’automatizzazione di determinati processi va anche a beneficio dei candidati, a cui viene offerta una candidate experience che valorizza pienamente le loro capacità, ma anche la loro opinione: in questi sistemi digitalizzati, infatti, il feedback deve essere costante, in modo da andare a migliorare e implementare i meccanismi in uso.

     

    Ulteriori approfondimenti:

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    6. Strategie per attrarre talenti

    Se per alcune realtà il problema di attrarre talenti non si pone, spesso grazie ad un brand molto noto, per altre aziende invece servono strategie all'avanguardia sin dalle prime fasi del processo se si vogliono ingaggiare i migliori profili sul mercato. 

    Una strategia utilissima è imparare dai colleghi del marketing: così come loro studiano attentamente il cliente e i suoi comportamenti e pensano poi ad azioni specifiche per intercettarlo in ogni fase del cosiddetto "customer journey", allo stesso modo il recruiter può mettersi in attenta osservazione del suo "cliente", ovvero del candidato che sta cercando volta per volta, e provare a conoscerlo a fondo. Dove vive, quali sono i suoi interessi, dove si informa online e offline, come si comporta quando è alla ricerca di un nuovo lavoro.

    Una volta che conosciamo bene il candidato che cerchiamo dobbiamo ideare delle strategie di comunicazione specifiche per lui: se per alcune persone è interessante sapere quali sono i benefit presenti nell'offerta di lavoro, per altre sarà conoscere il futuro capo o avere informazioni finanziare da parte dell'azienda.

    E' solo personalizzando il messaggio che possiamo fare breccia nel cuore dei talenti che ci interessano.

    Per approfondire questo tema e arrivare a costruire le tue "Candidate Personas" puoi leggere questo e-book.

     

    7. L’onboarding in azienda

    I giochi non sono ancora finiti: una volta che il candidato ha accettato la nostra offerta iniziano i mesi di onboarding in azienda. Questo periodo viene spesso trascurato e invece sono numerosi i casi in cui la relazione tra azienda e nuovo collaboratore si è compromessa sin dall'inizio a causa di un periodo di onboarding mal gestito.

    Le strategie vanno ovviamente differenziate per profili junior, magari alla prima esperienza in azienda, e profili senior, che sanno già come muoversi, ma l'importante è che ognuno venga introdotto, avviato e messo fin da subito nella condizione di performare al massimo.

    Gli aspetti da non sottovalutare in un buon piano di onboarding sono:

    • gli attori da coinvolgere: non solo l'HR ma anche il manager e tutto il team del neo-assunto devono sapere cosa ci si aspetta da loro in questa fase;
    • il primo giorno in azienda: un buon benvenuto vale più di mille discorsi retorici. Via libera a pranzi di team, starter kit con prodotti da ufficio brandizzati e qualsiasi altra idea creativa che faccia sentire importante e desiderato il nuovo collega;
    • i valori aziendali: in fase di colloquio ci siamo accertati che il candidato condivida i nostri valori, e ora è il momento di renderli concreti con azioni reali e quotidiane che lo coinvolgono;
    • l'organizzazione e i flussi di lavoro: non c'è nulla di peggio del non aver chiaro come gira l'azienda intorno a noi, com'è strutturato l'organigramma e "chi fa cosa". Per chi proviene da altri settori, serve anche un allineamento sulle dinamiche specifiche del business.
    • i feedback: i momenti di feedback devono sempre essere strutturati e non casuali e all'inizio devono essere più ravvicinati per consentire sia al nuovo assunto sia al suo manager di avere ben saldo il polso della situazione;
    • obiettivi da raggiungere e formazione necessaria: non bisogna mai dare per scontati questi due aspetti, dato che sono la principale fonte di malintesi e scontenti.


    Possiamo quindi concludere dicendo che la differenza tra trovare e assumere, ovvero tra lo svolgere il "compitino" di presentare dei cv e portare invece a successo il progetto, è un processo composto da molti micro-step apparentemente "innocui" ma in realtà vitali. Affrontarli uno alla volta e portarli uno per uno all'eccellenza è un buon metodo per non farsi sommergere dalle novità e allo stesso tempo non voltare le spalle all'innovazione.

     


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO